Valerio Bianchini è intervenuto nell’ultima puntata di WeBasket su Radio1909 condotta da Domenico Bonacorsi e Francesco Strazzari in collaborazione con Riccardo Corsolini e Andrea Fanti.
Una chiacchierata su tanti temi della pallacanestro moderna, dall’aspetto mediatico a temi più tecnici.
Ecco un estratto delle sue parole.

Imprevedibilità del basket. Come risaltare l’aspetto mediatico?
Il basket deve mostrarsi come un’alternativa rispetto al calcio, come un coronamento del gusto sportivo del popolo. Utilizzare per esempio un modello spagnolo dove la squadra di calcio e di basket sono le stesse (Es. Real Madrid).
In Italia invece il calcio è stato sempre un grande molo che ha fatto macello di tutti gli altri sport, questa è la verità. È l’unico sport che viene trasmesso continuamente, che va sulle pagine sportive e mediatiche più importanti e assorbe tutte le energie di questo paese.
Agli altri sport resta poco, tuttavia il basket è riuscito ad essere il primo sport dopo il calcio come popolarità e come gusto da parte dell’ascoltare. Bisogna continuare su questo percorso.
Rispetto agli anni ’80, periodo più alto della pallacanestro, ci sono meno personaggi e questo svantaggia il prodotto. L’unico grande vessillo poi venne portato avanti dalla Virtus di Porelli.
Oggi la situazione è molto diversa, mancano tanti elementi del passato. Per fortuna abbiamo recuperato Basket City con la rivalità tra Virtus e Fortitudo, speriamo che sia sempre più consistente perché il respiro di Bologna è il respiro del basket.


Modello Venezia. Esiste un metodo di lavoro e di crescita per basket italiano?
Il modello c’è poi bisogna vedere chi è in grado di seguirlo. Ci vorrebbe la tenacia, la personalità e l’equilibrio di un presidente come Brugnaro che ha mantenuto il cuore della squadra per parecchi anni dal roster fino allo staff tecnico. Sono cose importantissime per fare grande una squadra.
Mentre la maggior parte delle società si affida al cambio continuo di giocatori e allenatori senza costruire nulla.
Inoltre la saggezza di Brugnaro l’ha portato a fare investimenti sui giovani, non comprando giocatori provenienti dall’estero, ma investendo sulla popolarità della pallacanestro nelle scuole con quel magnifico torneo che fanno a livello liceale. La presenza nelle scuole porta nuovi ragazzi, tifo, atmosfera, prestigio.
Tutte queste cose poi hanno portato due campionati alla Reyer, un buon percorso in Europa e l’ultima coppa Italia partendo dall’ottavo posto.
Il modello Reyer è la dimostrazione che se c’è un’idea, una programmazione, una visione del futuro allora diventa glorioso anche il presente.


Qual è la misura giusta per far crescere gli italiani e mantenere un livello tecnico elevato?
Il primo campionato che è professionistico è una competizione dove ci sono investimenti più importanti sulle direttive della società. Ci sono imprenditori illuminati, come Brugnaro, perseguono la continuità dai giocatori con investimenti a lungo termine anche se affrontano stagioni meno positive ma se il lavoro è buono si può sempre recuperare. Hanno la possibilità di scegliere tra 5+5 o 6+6 anche perché ora ci sono i sostituti come la Nazionale ha mostrato in questi giorni, la testimonianza che i giovani se giocano crescono.
È il tipo di management giusto.
Per avere quei ragazzi, il ricambio bisogna procurarlo prima. Bisogna formare prima della Serie A, la Serie A non può lanciare i giovani.
Ora viviamo un grande equivoco: i campionati sotto la Serie A, fatta eccezione della A2 che produce interessanti giocatori italiani, tutti gli altri campionati sono ad imitazione della Serie A (promozioni e retrocessioni). 
La tenaglia di non retrocedere o di essere promossi porta a non utilizzare i giovani, nemmeno in serie C.
I ragazzi che escono dalle giovanili non hanno possibilità di essere formati come ad esempio succede ai ragazzi americani coi college.
Si disperdono i talenti.
Va rafforzato il concetto di far fare esperienza agli italiani dalla Serie B mettendo dei limiti di età (es. 23-24 anni) consentendo due fuori età per fare da chioccia ai ragazzi.
Bisogna avere il coraggio di farlo ma tanto coraggio in giro non lo vedo.


L’inserimento del passo zero in Europa ha portato anche in Europa ad una pallacanestro più fisica e meno attenta sui fondamentali?
Assolutamente si. Purtroppo, stiamo imitando troppo l’Nba, dovremmo imitare i campionati di college.
C’è sempre meno difesa, meno gioco di squadra, si insiste sull’1vs1 continuamente e il tiro da tre è troppo abusato. Tutto ciò si ripercuote sul campionato italiano ma non sull’Eurolega che resta un signor campionato, dal punto di vista tecnico è il miglior campionato al mondo.
Il campionato italiano con l’invasione di giocatori stranieri mediocri, con l’impreparazione di molti italiani per le ragioni che abbiamo detto, diventa un campionato dove tutti fanno la stessa cosa. Se guardiamo le partite sono tutte uguali. Non si distingue il lavoro degli allenatori, sono rari gli allenatori che riescono a farlo.
È un gioco omologato.
È evidente però che è un dato relativo al continuo cambiamento di giocatori che impedisce una crescita, ogni anno si parte da zero. Ogni anno i primi due mesi del campionato sono inguardabili dal punto di vista tecnico poi dopo verso febbraio, nel periodo della Coppa Italia, le squadre iniziano a giocare decentemente perché iniziano ad assorbire i concetti di gioco.

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