Sarebbe riduttivo limitare il ricordo di Alberto Bucci al palmares, che peraltro non è nemmeno malaccio (3 scudetti, 4 Coppe Italia di cui una con una squadra di A2, 1 Supercoppa, aggiungendo anche svariate promozioni in serie A e anche il mondiale over 45 con l’apposita nazionale). E sarebbe anche riduttivo, per noi bolognesi, limitarci a raccontarlo nelle cronache locali: basterebbe pensare a come il cordoglio stia unendo tutta Italia, pensando a lui come uomo che portò Rimini sull’atlante dell’Italbasket, a quello che regalò a Fabriano la serie A, una Coppa Italia a Pesaro, e il famoso miracolo Livorno che si fermò ad un frame dallo scudetto, esattamente trenta anni fa.

Alberto Bucci è molto di più. Uno dei pochi uomini veramente bianconeri rispettato anche dal mondo Fortitudo, e anche questo potrebbe essere un gioco, partita e incontro per spiegarne la grandezza. Un uomo che, ad un certo punto, ha iniziato a combattere una battaglia contro la sfortuna, contro i malanni, solo perché, ci viene bello pensarlo, non accettava l’idea di allontarsi dalla pallacanestro e, negli ultimi anni, dalla sua Virtus. Quella di cui è stato allenatore nell’anno della stella, quella con cui ha vinto il secondo e terzo scudetto del threepeat, quella di cui è stato presidente già ai tempi di Cazzola per poi tornare, in questi tempi più recenti, quasi a garante della situazione nei drammatici (sportivamente parlando) momenti della retrocessione eccetera.

Alberto Bucci è stato l’amore del basket sopra ogni cosa, anche sopra le cartelle cliniche che lo avevano dato per spacciato già un bel po’ di tempo fa. Uno dei più grandi uomini di basket che la città di Bologna abbia regalato non solo a sé stessa, ma a tutta Italia. Ed è per questo che la sua scomparsa, nell’adottiva Rimini, colpisce così tanto. E, subito, che Bologna lo onori come meriti: piazze, vie, eventi, che si trovi il prima possibile un motivo per eternarne il ricordo.

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