Oggi Marco Belinelli compie 30 anni. Per l'occasione il campione di San Giovanni in Persiceto è stato intervistato da Riccardo Pratesi sulla Gazzetta e ha ripercorso la sua carriera fin qui.

Ecco un estratto delle sue parole:

LA MIA AMERICA — "Negli Usa sono arrivato a 21 anni, da ragazzino. Ho vissuto tanti momenti belli e brutti. Ma di sicuro sono cresciuto come uomo e come giocatore. E sono sempre rimasto orgoglioso di essere italiano. Siamo dappertutto. Specie a San Francisco e Toronto ho trovato comunità italiane significative. E instaurato rapporti di amicizia importanti. A San Francisco con Giulio Tempesta, che ha un ristorante li' e che e' stato una figura importante nel mio periodo di adattamento iniziale. Frisco e' una delle città più belle d'America. Sacramento e' carina, ma spesso anche adesso nel giorno libero faccio un salto verso la Baia...".

IO E IL CIBO (POST PARTITA) — "Ho la fortuna di avere mio fratello Umberto che cucina alla grande. Vive a Los Angeles, spesso viene a Sacramento a trovarmi, e allora sono a posto. Ma il ristorante post partita, magari italiano, e' sempre stato una costante della mia esperienza Nba. Un posto dove rilassarsi, scaricare la tensione. Festeggiare o sfogare la rabbia, in base a come e' andata la partita...Del resto da buon italiano adoro mangiare bene, anche se da atleta devo stare sempre attento a non esagerare".

IO E I COMPAGNI — "Ce ne sono tanti cui sono particolarmente legato. Turkoglu, Paul, Noah e Ginobili sono i primi nomi che mi vengono in mente. All'inizio uscire con i compagni di squadra e' stato cruciale anche per migliorare il mio inglese. Se non volevi fare scena muta....A Bologna con Coach Repesa l'inglese era già la prima lingua, ma non lo parlavo certo come adesso, allora....Se devo fare un nome solo dico Manu: giocatore fantastico e persona super. In questo ambiente impari a giudicare i tuoi compagni nello spogliatoio per gli uomini che sono, non per lo stipendio che portano a casa....Se ce n'e stato qualcuno che mi e' stato sulle scatole? Ovvio, più di uno. Ma non si può dire....Può compromettere l'intesa sul parquet, certo. Falsità e gelosia sono i tratti che mi danno più noia...."

IO E GLI ALLENATORI — "Don Nelson e Monty Williams su tutti nella prima parte della mia carriera negli Usa. E poi Thibodeau, che mi ha dato tanta fiducia per fare il salto di qualità, e Popovich. Pop e' il top del top, uno "vero", un maestro di vita. E ovviamente Messina: nella parentesi Spurs mi e' sempre stato vicino".

IO E I TIFOSI — "I tifosi italiani sono fantastici. Li trovo in tutte le Arene. Spendono soldi, fanno lunghi viaggi, prendono le ferie, tutto per venire a vedermi giocare, anche in città fuori dalle rotte turistiche come Sacramento adesso, o San Antonio nel recente passato. Cerco sempre di fare un gesto per ricambiare l'attenzione. Un saluto, una foto. Qualcosa che li faccia sentire presi in considerazione. La passione dei tifosi mi riempie di gioia".
IO E I TATUAGGI — "Ne ho parecchi. Il primo e' stato quello per immortalare la conquista del titolo Nba. Poi c'e il cappello di mio nonno, il babbo di mia mamma, che lui portava quando mi accompagnava agli allenamenti di pallacanestro. E il codice postale di San Giovanni in Persiceto, casa mia. Poi il riferimento ai miei genitori. E non sono ancora finiti..."


IO E I CAMPIONI — "L'Nba cambia come gioco, sempre più perimetrale, e come interpreti. Quando sono arrivato c'era Kobe dominante, ora si ritira. LeBron e' stato la costante, con Durant. Adesso sono emersi nuovi campioni come Leonard e Curry, straordinari. Gli anni passano, e con loro le "stelle", il livello resta inarrivabile".

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